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11/30/2012

Eretici e realisti a BookCity



BookCity Milano ha già chiuso il suo esordio di quest’anno ed è stata una manifestazione partecipatissima, in barba alle statistiche generali che danno cifre deludenti sulla lettura e sulla vendita dei libri.
Ma se Book City guarda ormai verso il futuro, lo scrittore romeno Vasile Ernu, durante la presentazione del suo romanzo “Gli ultimi eretici dell’Impero” (Hacca, 2012), nella sede del Museo di Risorgimento a Milano, dice che “il passato va capito e noi dobbiamo assumerci il passato”.
I relatori, il giornalista Lorenzo Mazzoni, la scrittrice e giornalista Violeta Popescu e Francesca Chiappa, direttrice editoriale di Hacca, dialogano con lo scrittore sul comunismo e sull’impatto del capitalismo sull’uomo sovietico. Il tutto si è svolto in collaborazione con l’Istituto Romeno di Ricerca e Cultura Umanistica di Venezia.
Definito nel suo paese, in Romania,  scrittore controcorrente e polemico, Vasile Ernu con un linguaggio semplice ed esempi della vita quotidiana, nei suoi romanzi cerca di rovesciare le cose, di pensare in modo non convenzionale.
I due romanzi “Nato in URSS” e “Gli ultimi eretici dell’Impero”, entrambi pubblicati in Italia da Hacca e tradottti da Anita Natascia Bernacchia,  narrano del comunismo, questa volta non dal punto di vista del terrore, delle sofferenze e della repressione subita, ma descrivendo la vita quotidiana del cittadino sovietico. Nell’URSS, come in qualsiasi altra parte del mondo la gente beveva, ballava, si innamorava, viveva.
Senza mai  mancare d’ironia e d’umorismo, d’altronde parte integrale del suo stile di scrittura, Ernu racconta che in quell’epoca, in URSS, si era creato un tipo di paradiso perverso: le cose, gli oggetti erano pochi, però avevano un grande valore, che non cambiava facilmente. È così che si aveva un rapporto particolare con gli oggetti che diventavano un feticcio.
Sembra quasi assurdo che una delle maggiori preoccupazioni del regime comunista era riempire il tempo libero: se la gente aveva del tempo libero, sarebbero potute nascere cose pericolose. Alla fine, lo scrittore romeno sottolinea che “Ceauşescu non esiste, l’abbiamo costruito noi, il popolo e gli intellettuali romeni”. Nei suoi romanzi lui cerca di descrivere le gioie dell’uomo comune, “il mondo dal quale uscimmo e quello in cui siamo entrati”.
L’indomani, il 18 novembre, è in programma l’incontro sul lavoro  e l’industria nello specchio della letteratura, presso la biblioteca di Sesto San Giovanni.
Antonio Calabrò ed Ermanno Paccagnini incontrano Cosimo Argentina e Massimiliano Santarossa che presentano i loro rispettivi romanzi Vicolo dell’acciaio (Fandango 2010)  e Viaggio nella notte (Hacca 2012).
Le condizioni del lavoro, il lavoro precario, la mancanza di sicurezza nel lavoro, le malattie, l’alienazione dell’individuo sono i temi principali dei due romanzi che narrano l’industrializzazione d’Italia sia a Nord che a Sud. Più che racconti di un mondo marcio, si tratta di romanzi- avvertimenti, che si prefiggono di svegliare le coscienze della gente.
Il romanzo di Argentina racconta la scelta di tantissimi uomini, scelta di coraggio per lavorare in quelle fabbriche che dovrebbero portare lo sviluppo in Mezzogiorno, e che invece sono “cattedrali nel deserto”. Un romanzo che chiude la “trilogia di Taranto” e che già nel 2010 preannunciava uno scandalo: il famigerato caso Ilva, la fabbrica siderurgica di Taranto che a distanza di tempo non ha portato il benessere in quella città, ma inquinamento, malattie e lotta tra quelli che sostengono la chiusura di quel posto deleterio e quelli che invece ci lavorano dentro.
Santarossa, d’altro canto, racconta la periferia del nord, le fabbriche fatiscenti, semi abbandonate, il suo disfacimento morale e territoriale e ribadisce che il suo romanzo non è una autobiografia, piuttosto vuol essere un biografo degli ultimi. E quando un prete gli ha chiesto perché continuava a scrivere storie per ragazzi problematici, ha risposto “perché ho l’abitudine di leggere il Vangelo”. È la disgregazione della famiglia, l’amore stravolto, il rapporto con Dio che vuole narrare Santarossa, “il realismo isterico post-moderno”. Un altro tipo di letteratura impegnata.

Aida Baro

Questo mio articolo è stato pubblicato prima da Shilab