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4/27/2012

Ragazzi di vita: tra la sopravvivenza e gli schemi della società




Se volessimo definire con un’unica parola l’opera di Pier Paolo Pasolini, sarebbe un’impresa alquanto impossibile, ma proiettandolo sotto una luce diversa e nuova, potremmo scegliere “relogificante”, un termine insolito che indica la costruzione di una nuova ragione, il ridare un altro significato profondo alla vita e al mondo. In funzione a questa nuova ragione, Pier Paolo Pasolini ci racconta in modo scabro e spietato i mille volti di questo nostro mondo antico. Ne è testimone il suo romanzo “Ragazzi di vita”,  pubblicato  per la prima volta da Garzanti Editore, nel 1955, una epopea corale di un mondo disgregato e sgretolato.

Con pennellate di un realismo crudo, Pasolini descrive un gruppo di ragazzi tra i dieci e i vent’anni in una Roma completamente sconosciuta agli occhi dei turisti, esattamente il contrario dell’idillio poetico della capitale dell’ amore. L’immaginario di una bella vita svanisce sin dalle prime pagine del romanzo. La Roma del Colosseo si sostituisce ai sobborghi romani, nella più squallida miseria, dove non esiste più il rispetto per la legge, sennonché il rispetto per la legge della giungla, ovvero quella della sopravivenza. Non esiste più la morale sociale, ma il vizio si propone come una forma di furbizia per riuscire a  strappare dalla vita quel poco che serve per stare al mondo e per assecondare le esigenze più primitive dell’uomo.
“Ragazzi di vita”, da un certo punto di vista, è un romanzo di carattere esistenziale. I personaggi, i ragazzi dei sobborghi, in questo secondo dopoguerra non rimuginano, non riflettono sulla condizione umana, ma agiscono e si preoccupano soltanto della loro esistenza quotidiana.  La debolezza, la fragilità sono sentimenti frivoli per il Ricetto, il Cacciotta, Amerigo, Alduccio e tanti altri, perché la mancanza di un punto di riferimento come la famigla, l’asprezza della vita, la miseria, la fame li porta a compiere atti crudeli e a divertirsi anche nei momenti più cupi. Loro non si fanno scrupoli a rubare e a giocare poi in bische quelle poche piotte rubate,  a uccidere per il puro piacere del divertimento,  anche se il morto è uno di loro. Il bullismo si dimostra in  qualsiasi circostanza, sopratutto con i più piccoli e i più deboli.

Pasolini ci accompagna attraverso la Tiburtina, Porta Portese, Prenestina, Lungotevere, Villa Borghese, il fiume Aniene dando delle descrizioni alquanto vere e bellissime della città, a volte in funzione dello stato emozionale dei personaggi, a volte per creare un’atmosfera quasi irreale.
Il linguaggio usato, non a caso  da Pasolini, che va oltre l’italiano standard, è un pastiche di dialetto romanesco e grazie a questo strumento ingegnoso la storia è più verosimile, le espressioni linguistiche fanno da tramite per riuscire ad entrare in quel mondo corrotto e malato, che nessuno  vede. In questi ragazzi non esiste la coscienza sociale, la ribellione, la voglia di ribaltare lo stato delle cose.  La repulsione verso questo mondo nella prima infanzia, da adulti, si trasforma in desiderio di uniformità e opportunismo alla società odierna.
Roma non sarà piu la stessa per me. 


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